Antigone nell’opera da tre soldi?
Come già autorevolmente scritto nei giorni scorsi la recente vicenda della motonave Sea Watch 3 può essere letta sotto molteplici prospettive. Due, però, a mio avviso, le più rilevanti, tra loro strettamente connesse: quella politica e quella giuridica.
Orbene, sotto il primo profilo, va detto che i gesti di Carola Rackete sono stati strumentalizzati a livello politico da più parti, ma che, comunque li si guardi, essi costituiscono una palese violazione della sovranità esterna italiana, garantita a livello costituzionale dall’art. 1 come effettiva e concreta autonomia posseduta dallo Stato in virtù della sua supremazia ed originarietà esclusiva.
In uno Stato di diritto pienamente sovrano, infatti, non è ammissibile che una nave battente bandiera di un Paese straniero violi in modo spudorato le nostre acque territoriali arrivando ad urtare con violenza una motovedetta della Guardia di Finanza che è, a sua volta, espressione, rectius articolazione militare e di polizia dello Stato Italiano. A tal riguardo, pur potendo invocare l’art. 21 della nostra Carta Fondamentale, vedere ex Ministri della Repubblica solidarizzare, unitamente ad altri “Onorevoli”, con una indagata di nazionalità tedesca e poi non con i Finanzieri italiani stride con il più
elementare senso civico di appartenenza ad una comunità nazionale orgogliosa delle sue prerogative sovrane. Non dimentichiamoci, per inciso, che quegli stessi parlamentari che hanno compiuto un gesto così massimalista hanno giurato fedeltà alla Costituzione “più bella del mondo”: che siano, forse, solo dei kompagni che sbagliano? La verità è che, come sostenuto più volte dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il fenomeno epocale della immigrazione è troppo complesso per essere ridotto ad una meschina lotta ideologica interna, richiedendo, invece, a fronte di una globalizzazione c.d. dal basso intese e sforzi politici, economici, diplomatici e normativi corali della comunità internazionale, i quali salvaguardino sia la fondamentale esigenza di tutela della dignità
della persona umana, sia la parimenti importante garanzia di sicurezza e di ordine pubblico degli Stati di prima accoglienza.
Dal punto di vista giuridico, invece, l’ordinanza 2/7/2019 del GIP del Tribunale di Agrigento, in ogni caso ricorribile per Cassazione, ex art. 391 c.p.p., esclude, in effetti, la sussistenza nello specifico del reato previsto e punito dall’art. 1100 del Codice della Navigazione in tema di resistenza e violenza contro la nave V.808 della Guardia di Finanza e stabilisce, altresì, la non punibilità della signora Rackete per il delitto di cui all’art. 337 c.p. “Resistenza a un pubblico ufficiale” perché commesso in presenza di una causa di giustificazione data, ai sensi dell’art. 51 c.p., dall’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica sovranazionale.
Tuttavia, lo stesso provvedimento del Giudice siciliano afferma in maniera testuale che “l’aver posto in essere -da parte, naturalmente, della comandante teutonica- una manovra pericolosa nei confronti dei pubblici ufficiali a bordo della motovedetta Guardia di Finanza” è “senz’altro costituente il portato di una scelta volontaria seppure calcolata” che “permette di ritenere sussistente il coefficiente soggettivo necessario ai fini della configurabilità concettuale del reato in discorso”. Dunque, il reato c’è, sussiste, ma non è punibile perché scriminato. Ovviamente, nel corso del futuro, indefettibile processo penale, quando si entrerà nel merito sostanziale della vicenda in esame, altri, differenti Giudici potranno essere di diverso avviso e condannare ad una pena severa la stessa, improvvida signora Rackete.
Concludo, citando Montesquieu: “La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono” e, dunque, auguriamoci che anche questa asserita Antigone terzomondista possa finalmente capire che in Italia la libertà ha i suoi limiti e le sue giuste misure che non autorizzano mai la sfrontata violenza.
– Avv. Raffaele Addamiano –